Il Parco del Monte Cucco e, soprattutto, l'adiacente Alta Valle del Chiascio sono il terreno ideale per la pratica della bici da montagna. Una fitta rete di sentieri, mulattiere e carrarecce penetra per centinaia e centinaia di chilometri ogni settore del territorio, disegnando un'infinita possibilità di percorsi, per ogni gusto e capacità.
L'UMBRIA IN BICI DA MONTAGNA
di Francesco Salvatori
Ho sempre sostenuto che l'Appennino - per chi ama la montagna, l'avventura e la conoscenza - ha caratteristiche importanti ed attraenti, ma sicuramente diverse da quelle delle Alpi. Ed é sbagliato trasferire, pari pari, sull'Appennino quello che é proprio delle Alpi, e solo di esse. E' necessario invece tentare vie diverse, magari del tutto originali, più adatte ai rilievi di casa nostra.
E con la fida bici è stata una scoperta dietro l'altra e il territorio si è mostrato con una faccia diversa, impensata, la migliore. La bici da montagna, da noi, è uno strumento di incredibile efficacia: discreto, solido, duttile, simpatico, estroverso, disponibile, facile, produttivo, veloce quanto necessario per tenerti sempre sulla corda dell'interesse. Mi sono reso conto che tanti itinerari appenninici sono tanto entusiasmanti in bici quanto noiosi a piedi. Pedalando, in una giornata, puoi scoprire un intero territorio, in tutti i suoi aspetti, anche in quelli più nascosti. A piedi occorrono delle ore per poter cambiare paesaggio.
L'escursione in MTB è, innanzitutto, archeologia della viabilità antica; poi fatto naturalistico, quindi paesaggistico, storico, artistico, tecnico, agonistico (con sé stesso naturalmente). Con tutto questo in pentola non c'è proprio da annoiarsi!
Ma sui rilievi della nostra regione, che sembrano a prima vista così scontati, c'é qualcosa in più, un quid specialissimo, direi unico, che trasforma ogni escursione in bici in un'avventura sentimentale e di cultura. Non tanto per gli aspetti del paesaggio, della natura o delle viabilità, che pur sono degni di molto rispetto ed attenzione, ma per ciò che l'Uomo ha lasciato in millenni della sua presenza e del suo passaggio. Non sono certo gli aspetti fisici o della vegetazione o della fauna selvatica a dare quel "quid" in più alla nostra Umbria: é l'Uomo stesso ad aver marcato ogni angolo, ogni anfratto, anche nei posti più sconosciuti e impervi. E' l'Uomo, con la sua inesauribile attività, ad aver impresso il segno più bello, sempre armonioso, fino a cinquant'anni fa.
Gli umbri, oggi, sono poco più di 800.000 (un quartiere di Roma!), quasi tutti concentrati nelle città e nei paesi maggiori, a valle, nelle zone più facili. Ben poco hanno potuto fare per danneggiare l'ambiente naturale delle colline e delle montagne, ambiente che occupa la stragrande maggioranza del nostro territorio. Quasi tutto è rimasto selvaggio e di difficile penetrazione, spesso coperto da boschi, da una fitta macchia, con le abitazioni di un tempo oramai in rovina. In certe strade statali, asfaltate, c'è difficoltà ad incontrare un'auto. Nelle provinciali e nelle sterrate delle zone marginali si pedala per ore senza incontrare anima viva. Fra le pieghe inaccessibili delle montagne e delle colline si sente - pesante e minaccioso - l'isolamento più completo; e solo l'esile linea tortuosa del sentiero fende il "mare verde" e ti può guidare fuori, nella "civiltà". Guai a lasciare quella linea: si rischia come minimo di passare la notte all'aperto.
Ma gli umbri, benché pochi, sono di antica razza e da millenni popolano e animano queste terre non toccate dal mare. Ed ecco allora che si è andata sviluppando nel tempo una fittissima rete di sentieri, mulattiere, carrarecce, sterrate, dalla preistoria a cinquant'anni fa. Attorno e ai margini di questa rete interminabile (forse più di 12.000 km) si è poi andata sedimentando l'opera dell'Uomo, millenaria, umile o ricca, imponente o minuscola, bella o comunque pregna di significati. Dagli Italici agli Etruschi, ai Romani, ai Longobardi, ai Normanni, agli uomini del Medio Evo e del Rinascimento, via via fino all'ultima Cultura contadina e pastorale, morta cinquant'anni fa sotto i colpi dell'Azienda Italia.
A percorrere queste antiche vie, tutte logiche, tutte di buon senso, tutte funzionali, tutte umili, prevedibili come la corretta soluzione di un problema matematico, si torna indietro nel tempo a sfogliare la nostra storia, con lo stesso affetto e la stessa tenerezza con cui si sfoglia l'album delle foto di famiglia. Si capisce chi siamo, da dove veniamo e verso dove vogliamo andare. E la fida bici é la macchina del tempo, lo strumento della scoperta archeologica.
Pensare che la chiamano "viabilità minore". Questi ineffabili burocrati non sentono il peso e la grandezza di quanto ci ha preceduto e condizionato! Quando riscoprii - dopo giorni e giorni di ricerca a tavolino e sul terreno selvaggio di Monte Acuto di Perugia - il piccolo santuario della Madonna della Costa ho provato, probabilmente, le stesse sensazioni di chi per primo vide, sepolte nella foresta, le dimenticate città azteche; con le dovute proporzioni naturalmente. La grande fatica di aprire la strada con il "marraccio", spingendo la bici fra i rovi, portandola a spalla, fendendo la fittissima macchia che oramai ricopriva la vecchia strada, è scomparsa appena ho visto il piccolo campanile a vela spuntare dal verde. Stava quasi crollando, non v'era rimasta alcuna campana; le arcate del tetto giacevano sul pavimento di mattoni e solo il cielo ricopriva quel che restava dell'altare.
Mi sono seduto sull'erba tenera del vecchio sacrato, ancora miracolosamente sgombro, ho chiuso gli occhi ed ho rivisto la piccola folla domenicale che si radunava nella chiesetta, venuta dai casolari di Galera, da Monastevole, da Pian del Nese. Non c'era Montezuma, ma c'era l'Uomo, comunque.
E questo, e tantissimo altro, si è interrotto cinquant'anni fa sotto le mazzate proditorie della nascente Azienda Italia, che correva, inarrestabile, verso la selvaggia industrializzazione, non guardando in faccia nessuno e annullando in un batter d'occhio la Cultura Appenninica che tanti frutti ha dato, che tanto ha contribuito all'affermarsi delle conoscenze, alla diffusione del convivere civile e alle nostre migliori espressioni artistiche.
Ci sono state date, certo, molte comodità, ora irrinunciabili; ma siamo anche stati svuotati di quasi ogni nostra idealità, costruita faticosamente nel tempo, e sono state recise molte delle nostre antiche e fondamentali radici.
Pedalando fra castelli diruti, sorpassando le poche pietre che restano di un'antica abbazia, superando un fiume sulle vetuste pietre di un ponte della Roma consolare, indovinando i borghi medievali sepolti nella macchia, sembra che un mago cattivo abbia fatto un sortilegio, arrestando di colpo tutto e tutti, svuotando case e palazzi, facendo fuggire precipitosamente i sopravvissuti ai crolli. In certi antichi posti si ha sensazione che, da un giorno all'altro, ci sia stata una fuga frettolosa e senza ritorno. Poi il tempo ha fatto il suo corso minando e seppellendo in pochi decenni quello che per millenni si era costruito.
Non so bene perché, ma ritornare indietro nel tempo con la fida bici, ritornare indietro fino a quando l'Osteriaccia di Monte Acuto e di Marzana accoglievano i viandanti e si scambiavano merci al Trivio di Luticchio mi fa bene, mi fa sentire felice. Forse perché è come annullare il cattivo sortilegio e ritornare al punto in cui si è interrotta l'evoluzione armoniosa dell'Uomo nella Natura. E' come riprendere un bel discorso sereno che una visione contorta e momentanea ha fatto stridere. La speranza nascosta, ma non troppo, è che si sia ancora capaci di raddrizzare le cose, senza più subirle, governando di nuovo un equilibrio fra le necessità dell'Uomo e le leggi che governano l'ambiente in cui vive. E di questo, non mi stancherò mai di dirlo, ringrazio la mia fida bici, che ha le gambe giuste per farti muovere nello spazio e nel tempo, con la giusta velocità, con la mente che segue serena.